Il musical


L’IDEA

L’idea è venuta all’inizio degli anni ’90 quando il gruppo del dopo cresima dell’Alveare era solito recarsi a Cogne, il villaggio estivo salesiano per fare il campo estivo e don Bosco era uno d ei santi che venivano proposti ai ragazzi… L’ospitalità di Cogne ha permesso la crescita del gruppo che era iniziato solo da sei anni dal quale ne sono poi nati altri due: l’AlfaOmega e successivamente l’Arca. Dal 2000 per volontà del Vescovo di Perugia, Mons. Chiaretti, i tre gruppi che fanno parte di tre parrocchie contigue, hanno iniziato a camminare secondo un progetto pastorale comune fino a dar vita, nell’aprile del 2006 all’oratorio Giovanni Paolo II che conta seicento iscritti. La cultura dell’Oratorio manca in Umbria, solo da pochi anni si è cominciato a pensare in maniera “oratoriana”. Infatti nel 2005 in occasione della visita pastorale di Chiaretti, con i responsabili dei tre gruppi decidemmo di accogliere il Vescovo con un musical e pensando a quale personaggio rappresentare, venne l’idea di don Bosco per il suo legame con i giovani. Solo al termine della riunione ci rendemmo conto che era il 31 gennaio, giorno della sua memoria liturgica.




NASCE IL MUSICAL

Cominciammo a reperire le biografie del santo, ognuno ne lesse una e poi mettemmo insieme le cose che ci avevano colpito maggiormente per far emergere il “nostro” Don Bosco. I tratti che affioravano in maniera più decisa costituirono la trama del musical che venne rappresentato a giugno davanti a circa 1000 spettatori. L’episodio che ci toccò maggiormente fu il sogno dei nove anni che il santo capì, nella sua interezza, in tarda età: i lupi trasformati in agnelli e pastori. Titolammo così lo spettacolo “Il sogno di una vita”. Il musical riproponeva con testi, musiche e balletti, tutti scritti e creati da noi, la vita del santo con finale particolare: uno squarcio di paradisco con Don Bosco che accoglieva i suoi ragazzi. Quello che volevamo trasmettere era più di ogni altra cosa la speranza della gioia e della compagnia eterna, la santità come festa e il paradiso come meta della vita. Il pubblico ne rimase scosso, più di cento adolescenti e giovani che ballavano e cantavano con convinzione, come esperienza di fede e di preghiera la speranza cristiana lasciò il segno. Per noi che vivemmo quella serata, il ricordo è tra i più “sacri” della nostra pastorale, tra i più belli. Don Bosco, ne facemmo l’esperienza, era davvero vivo. L’anno successivo, dai tre gruppi Alveare, Alfaomega, Arca, (e da un quarto, lo Shalom costituito dai ventenni), nacque l’Oratorio Giovanni Paolo II. Anche qui, solo a ritroso capimmo che il musical fu “profetico”: la canzone del musical che diceva “credeteci l’oratorio c’è” e che avevamo cantato solo pensando a Don Bosco, era in realtà un anticipo di quell’oratorio che stava nascendo sotto i nostri occhi.
A settembre del 2008, abbiamo ripreso in mano il copione, di rielaborarlo e di porlo al centro dell’anno pastorale. I responsabili hanno pregato, letto, lavorato per cinque mesi per “rifare” i testi, la trama, inserire alcuni canti nuovi, e il 31 gennaio 2008 i ragazzi del dopo cresima hanno ricevuto l’annuncio del musical.




GLI INIZI

Non abbiamo voluto ripresentare la vita del santo, ma il miracolo di una vita salvata grazie al suo esempio e al suo amore. Vero protagonista del musical è Jacopo, un ragazzo povero e orfano sottoposto alle angherie di un imprenditore che lo tratta come una cosa di sua appartenenza. Insieme a lui tanti altri ragazzi vivono lo stesso dramma. Il musical si apre con una canzone e un balletto che hanno come protagonista Torino, impersonata da una nobildonna che accoglie poveri e ricchi. Una scena ricchissima che impegna da sola circa 25 attori. Tra questi un giovane Don Bosco.  La donna-Torino, nella seconda scena, canta in dialogo con Jacopo: un duetto nel quale emerge il dramma di questo ragazzo che cerca nella grande Torino il suo riscatto e che invece trova solo povertà e schiavitù. Il musical procede così su un doppio binario: quello di don Bosco che vive la sua vicenda, dall’amicizia con don Cafasso fino al pianto liberatorio dell’ultima eucaristia, e quello di Jacopo che dapprima conosce l’oratorio di don Giovanni perché inviatovi dal padrone come spia e che poi ne resta affascinato fino a trovare il coraggio di affrancarsi dal padrone per vivere una vita diversa, non senza il concorso di Domenico Savio e la sua Compagnia dell’Immacolata. Lo ritroveremo alla fine con una famiglia e una vita dignitosa mentre con don Michele Rua ricorda gli anni all’oratorio. Il canto “Il sogno di una vita” che vede in scena tutti gli attori, tutti i ballerini, chiude il musical “mostrando” il paradiso dove tutti si incontrano di nuovo accolti da don Bosco e dalla Vergine Maria.




GLI ALTRI

Don Bosco è tratteggiato come un uomo vigoroso, forte e gioioso; Mamma Margherita, tenera e d’acciaio, capace di rincuorare con una fede robusta il figlio in un momento di sconforto; Domenico Savio e Michele Rua come ragazzi puliti, con nessuna parentela con certe rappresentazioni sdolcinate e stucchevoli che restano lontane dalla umanità dei santi. Personaggio forte del musical è senz’altro l’Imprenditore, uomo senza scrupoli e incapace di relazioni umane che non siano di tipo utilitaristico. Ma protagonisti sono anche “ragazzi dell’oratorio”, ma anche i poveri di Torino, il Sindaco, il Prefetto, il Maresciallo, l’Uomo venerando protagonista del sogno dei nove anni e la “dolce Maestra” da Lui affidata a Giovannino. Gli attori ballano, recitano e cantano, insieme a un coro e a un “corpo di ballo”. In tutto, tra chi è in scena e chi lavora dietro le quinte siamo circa 150. La parte più consistente del musical è composta dai canti e dai balletti che ritmano i tempi delle scene. Qualcuno potrebbe essersi fatto l’idea di una compagnia teatrale di professionisti o quasi; niente è più lontano dalla verità: noi siamo un oratorio che, attraverso la forma del musical, vuol fare esperienza di comunione, e di fraternità, di fede. Quello che facciamo possiamo classificarlo come un’esperienza di fede, di carità e di speranza che si serve del linguaggio dell’arte. Il risultato è splendido come esperienza di fraternità e di fede nonostante l’imperfezione tecnica, gli errori, i ritardi, le incertezze proprio dei dilettanti. I ragazzi sono cresciuti come cristiani anche grazie al “Sogno di una vita”. Il lavoro ha permesso di riflettere sul senso della vita e, ha indicato una direzione più sicura per non perdere o per ritrovare l’orientamento.



  • L’educazione è cosa di cuore e solo Dio ne possiede le chiavi

  • Cari amici, vedo in voi le “sentinelle del mattino” in quest’alba del terzo millennio

  • Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro